2.2.06

 

DOSSIER SULL'ILLEGALITA' POLITICA - di LUIGI MARIANO

Questo breve “dossier”, da me curato assemblando e integrando appunti e files del mio computer, ha un unico fondamentale scopo: INFORMARE LA GENTE di ciò che spesso non gli viene detto.

Se qualcuno volesse per forza vedervi dell’altro, sospettando pallosi intenti moralistici (lontani da me anni luce) o, peggio, patetici sottintesi elettorali in funzione di questo o quell’altro partito, sicuramente non mi conosce ancora bene e comunque sarebbe del tutto fuori strada.

D’altra parte è ahimè doloroso constatare come in Italia non si sia ancora perso il vizio di dividere sempre tutto in Orazi e Curiazi, Guelfi e Ghibellini, Bianchi e Neri. E soprattutto di come si ritenga improbabile, e a volte inconcepibile, che quando qualcuno critica una parte non sia effettivamente dello schieramento avverso. Se si attaccano i Guelfi, si è etichettati come Ghibellini, non c’è scampo. E viceversa. Nella migliore della ipotesi, in seguito a un profluvio di umilianti spiegazioni sul fatto che “non è vero, non è così”, si è comunque accusati di un qualche interesse (quasi sempre politico) a dire quella cosa. In genere si è attaccati da tutti gli schieramenti, in ultimissima analisi etichettati come fomentatori d’odio.
Insomma: è vietato essere “al di fuori”.
E’ vietato essere spassionatamente solo “a favore della corretta informazione”.

Queste poche pagine di FATTI (e di pochissime opinioni), tutti fatti tra l’altro che riguardano sentenze di tribunale o indagini giudiziarie, mettono spietatamente in luce come purtroppo esista in Italia uno strano partito politico che da 12 anni è riuscito a far peggio, in termini di disonestà, di ciò che (insieme) DC e PSI, i due partiti forse più implicati di tutti negli scandali della Prima Repubblica, avevano compiuto in 50 anni.

Era difficile riuscirci, ma il partito di Silvio Berlusconi ce l’ha fatta, reclutando a piene mani, per raggiungere l’ostico scopo, proprio i peggiori e più corrotti ex democristiani ed ex socialisti della Prima Repubblica, quasi tutti riciclatisi in Forza Italia, ripuliti e impuniti.

Mi si dirà: “Ma in fondo i politici sono tutti uguali, come mai ci tieni tanto a sottolineare le pecche di Forza Italia?”. Non è del tutto vero che i politici sono proprio tutti uguali. In effetti nessun politico è uno stinco di santo, è verissimo, tant’è che il mio obiettivo iniziale era (pensate un po’) quello di un breve dossier per far capire a tutti, dati alla mano, chi fossero davvero coloro che siedono in Parlamento, sia di destra che di sinistra.

Poi però ho capito che, in termini di legalità (ed è la prima cosa: forse addirittura prioritaria rispetto ai programmi e alle idee), in fondo esiste una qualche differenza, sia quantitativa che qualitativa, che è bene i cittadini sappiano. A sinistra, per esempio (per limpidezza e onestà), i “rifondaroli” o l’ Italia dei Valori di Di Pietro sono un gradino sopra ai DS. Negli stessi DS, l’insopportabile D’Alema non è Veltroni. A destra, sempre per esempio, AN è più onesta (ma non significa che sia immacolata, tutt’altro!) di Forza Italia e anche dell’UDC. E così via, confrontando tutti i partiti. Generalizzo? Non proprio. Anzi, sto cercando di orientarmi, di distinguere un po’, nella giungla variegata degli uomini e degli schieramenti. Dopo un’attenta analisi (nemmeno poi così complicata…), ho infine capito che al vertice di questa piramide di illegalità c’è, senza dubbio alcuno, il partito azzurro. E il mio unico obiettivo è quello di farlo sapere attraverso questo breve dossier informativo. Fare conoscere reati e (eventuali) pene.
Ognuno valuti se è il caso o meno di regolarsi di conseguenza.


L.M.

24 PARLAMENTARI CONDANNATI in via definitiva
(oppure che hanno patteggiato la pena)


12 di FORZA ITALIA:

1) Gianstefano Frigerio (deputato FI)
condannato dalla Cassazione a complessivi 7 anni e 8 mesi di reclusione, sia per le tangenti delle discariche (tra cui 150 milioni da Paolo Berlusconi) e sia per moltissimi altri scandali di tangentopoli, tra cui concussione, corruzione, ricettazione e finanziamento illecito.
Conosciuto in tutta la Lombardia per i suoi variegati trascorsi criminali, ha dovuto farsi eleggere in Puglia, sotto falso nome (Carlo Frigerio). I giudici l’hanno condannato all’interdizione dal diritto di voto fino al 2009. Tranne in parlamento, purtroppo, dove vota per tutti noi. Tutto merito di Silvio.

2) Marcello Dell’Utri (senatore FI)
Fondatore di Forza Italia e principale artefice della discesa in campo di Berlusconi nel ‘93.
Ambasciatore dell’imprenditoria e della politica presso Cosa Nostra, è stato innanzitutto condannato dalla Cassazione di Torino per frode fiscale e truffa (false fatturazioni di Publitalia), per complessivi 2 anni e 6 mesi di reclusione, che ha patteggiato, riconoscendosi colpevole.
Ha però altre due condanne piuttosto pesanti, anche se (per il vero) ancora in primo grado di giudizio.
- La prima è di 2 anni per tentata estorsione (tramite il boss trapanese Vincenzo Virga, latitante dal ‘94 al 2002) nei confronti del dr.Vincenzo Garraffa, nel ‘92, che Virga andò a trovare per conto di Dell’Utri.
- La seconda, basata su una valanga di fatti e di prove documentate (carte, agende, filmati, fotografie intercettazioni telefoniche e ambientali, persino mezze ammissioni dello stesso imputato, nonché naturalmente anche su testimonianze di decine di pentiti e persino di tanti incensurati) è di 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, reato commesso lungo circa 30 anni.
Dovessimo tener conto dell’attuale cumulo di pene, il senatore avrebbe più di13anni di galera da scontare!
E’ stato Dell’Utri, secondo i giudici, a favorire l’incontro nel ‘74 tra Berlusconi e il capo di Cosa Nostra
Stefano Bontate, al quale Silvio chiese protezioni contro i rischi continui di sequestri ed estorsioni.
Bontate accennò che in cambio desiderava far fare a Berlusconi investimenti in Sicilia, su cui riversare il riciclaggio del denaro proveniente dal narcotraffico. Berlusconi forse non si aspettava simili richieste, sorvolò e prese tempo, ma (secondo scottanti rivelazioni di molti pentiti piuttosto attendibili) alla fine degli anni ‘70 cedette a Bontate e alla mafia, ricevendo da Cosa Nostra denaro a fiumi, da investire nelle televisioni. Tornando all’incontro del ‘74: Bontate e Dell’Utri rassicurarono Berlusconi e gli suggerirono di prendere in casa l’uomo d’onore Vittorio Mangano (nella villa di Arcore fino al ‘76).
Silvio aveva timore di subire sequestri (per sé, suo padre e i suoi figli, più volte minacciati) e alleandosi con un mafioso così temuto, sino al punto da farlo entrare in casa ed affidargli le mansioni di “stalliere” (come copertura), si sarebbe sentito paradossalmente protetto, addirittura dai massimi vertici della criminalità. I calcoli di Dell’Utri e Berlusconi erano un po’ approssimativi, perché l’inaffidabilità di Mangano non tardò a manifestarsi, per fortuna senza grosse conseguenze, fino a che spontaneamente Mangano decise di andarsene, nel 1976 (pur contro il parere di Confalonieri, che lo considerava ancora “utile”). Marcello Dell’Utri, che è entrato in politica, per sua stessa ammissione,“solo per legittima difesa” (non certo per il bene dell’Italia!), è stato però nominato da Berlusconi principale coordinatore di Forza Italia per la campagna elettorale delle politiche del 2006.
Ci aspettiamo il solito spettacolare reclutamento di voti mafiosi, a cui ci ha oramai abituato da 12 anni.

3) Antonio Tomassini (senatore FI)
condannato dalla Cassazione a 3 anni di reclusione per aver contraffatto e distrutto la cartella clinica di una bimba (nata cerebrolesa) quando era primario ginecologo ed esercitava a Busto Arsizio, nel 2000.
Ha trovato rifugio presso Silvio Il Magnanimo.

4) Alfredo Vito (deputato FI)
condannato dalla Cassazione a 2 anni di reclusione (poi patteggiati, con restituzione di 5 miliardi di bottino) per 22 episodi di furti e corruzione a Napoli. Ladrone dell’ex DC napoletana, accolto da Silvio.

5) Antonio Del Pennino (senatore FI)
condannato dalla Cassazione a 3 anni e 8 mesi complessivi, tutti patteggiati, per tangenti Enimont e Metropolitana milanese. Ex frequentatore di bische clandestine di fine anni ‘70, poi passato al PRI.
Infine accolto da Silvio, sempre generosissimo verso simili probi eroi della Vecchia Repubblica.

6) Lino Jannuzzi (senatore FI)
condannato dalla Cassazione a 2 anni e 4 mesi per una vera e propria “messe” di diffamazioni varie,(Jannuzzi è giornalista), spessissimo a pagamento, in particolare contro la magistratura (e te credo…).
Prese 5 milioni dal boss Pippo Calò per scrivere un libro contro i giudici, che poi però non scrisse più.
Massacrò Falcone nel ‘91, riempiendolo di calunnie ignominiose, da togliere il fiato.
Pluri-querelato. Dopo una latitanza a Parigi, ha ricevuto la grazia dal Presidente della Repubblica.

7) Walter De Rigo (senatore FI)
condannato a 1 anno e 4 mesi di reclusione, poi patteggiati, per truffa ai danni del Ministero del Lavoro e della CEE: si fece dare 474 milioni di lire in cambio di falsi corsi di qualificazione professionale.
Imprenditore bellunese del settore degli occhiali.

8) Massimo Maria Berruti (deputato FI)
condannato dalla Cassazione a 8 mesi di reclusione per favoreggiamento nei confronti di Berlusconi nel processo sulle tangenti alla Guardia di Finanza, che ha visto coinvolto il Cavaliere e la Fininvest.
Ex capitano della Guardia di Finanza, il probo Massimo Maria Berruti ebbe la sorte di andare a interrogare, con altri due ufficiali, un giovane imprenditore emergente di nome Silvio Berlusconi (nel lontano 1979, ben 14 anni prima della discesa in campo) sulla confusa situazione finanziaria della
Edilnord, di cui Silvio era a capo, ma che per la GdF dipendeva da ben altre società estere (svizzere).
Purtroppo il buon Berruti si lasciò lusingare dal Berlusconi (che chissà che gli promise), e decise di archiviare tutto: andò a lavorare per lui poco tempo dopo, abbandonando per sempre la Guardia di Finanza. Praticamente, in soldoni (e in tutti i sensi!): Berruti si fece comprare.
Ha lavorato come avvocato della Fininvest. Nel ‘94, Silvio (sempre magnanimo) gli affidò addirittura l’organizzazione della campagna elettorale a Sciacca e ad Agrigento, con buoni risultati, grazie al coinvolgimento dei mafiosissimi Salvatore Bono (cognato del boss Di Gangi) e Salvatore Monteleone.
I Carabinieri hanno scoperto che possedeva una società, la Xacplast, assieme a mafiosi di Sciacca.
Il pentito Angelo Siino, ex Ministro dei Lavori Pubblici di Totò Riina, ha rivelato di un incontro tra M.M.Berruti e il boss Nino Gioè proprio nel periodo di progettazione delle stragi mafiose ‘92-‘93.

9) Giampiero Cantoni (senatore FI)
condannato fino a 2 anni di reclusione per corruzione, bancarotta fraudolenta e altri reati, ha poi patteggiato, confessato e restituito 800 milioni (che buon cuore…).
Ex socialista ed ex presidente della BNL.

10) Giorgio Galvagno (deputato FI)
condannato a 6 mesi e 26 giorni di reclusione, poi patteggiati, per inquinamento delle falde acquifere, delitti colposi contro la salute pubblica, abuso e omissione di atti d’ufficio, falso ideologico e infine omessa denuncia dei responsabili della tangentopoli astigiana nello scandalo della discarica di
Vallemanina e Valleandona (smaltimento fuorilegge di rifiuti tossici e nocivi in cambio di tangenti).
Tutto questo quando era sindaco socialista di Asti. Silvio naturalmente l’ha accolto a braccia aperte.

11) Egidio Sterpa (deputato FI)
condannato dalla Cassazione a 6 mesi di reclusione per una tangente Enimont. Ex PLI, ora con Silvio.

12) Alfredo Biondi (deputato FI)
condannato a 2 mesi di reclusione, poi patteggiati, e a 6 milioni di lire di multa, per frode fiscale: aveva
evaso le tasse (su parcelle professionali) per quasi 1 miliardo di lire.



2 della LEGA NORD:

13) Umberto Bossi (Lega Nord)
condannato dalla Cassazione a 8 mesi di reclusione per tangente Enimont (200 milioni da Carlo Sama).
Segretario della Lega Nord, ha precedenti penali per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, e vilipendio alla bandiera. Indagato anche per attività eversive delle “camicie verdi”.

14) Roberto Maroni (Lega Nord, ministro del Lavoro)
condannato dalla Cassazione a 4 mesi e 20 giorni di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale.

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2 dell’UDC:

15) Vito Bonsignore (eurodeputato UDC)
condannato dalla Cassazione a 2 anni di reclusione per tentata corruzione nell’appalto dell’ospedale di Asti.

16) Calogero Sodano (senatore UDC)
condannato dalla Cassazione a 1 anno e 6 mesi di reclusione per abuso d’ufficio (quando era sindaco di Agrigento) finalizzato a favorire i costruttori abusivi in cambio di favori elettorali, tra il ‘91 e il ‘98.


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1 del PRI:

17) Giorgio la Malfa (PRI): condannato dalla Cassazione a 6 mesi di reclusione per tangente Enimont.

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2 dei DS:


18) Vincenzo Visco (deputato DS)
condannato nel 2001 dalla Cassazione a 10 giorni di arresto e 20 milioni di lire di ammenda per
abusivismo e ampliamenti illeciti nella sua casa di Pantelleria, con ordine di demolizione delle
opere abusive.

19) Augusto Rollandìn (senatore DS)
condannato nel ‘94 dalla Cassazione a 1 anno e 4 mesi di reclusione, 2 milioni di multa e risarcimento danni alla Regione Val d’Aosta per abuso d’ufficio: favorì una ditta amica nell’appalto per la costruzione dei compattatori di rifiuti di Brissogne.

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2 dell’UDEUR:

20) Paolo Cirino Pomicino (eurodeputato UDEUR)
condannato dalla Cassazione a 1 anno e 8 mesi di reclusione per tangente Enimont.
Ha patteggiato 2 mesi per corruzione (fondi neri dell’ENI). Simpatico zombie della Prima Repubblica.

21) Rocco Salini (senatore UDEUR)
condannato a 1 anno e 4 mesi per aver falsificato la graduatoria dei finanziamenti europei alla Regione Abruzzo. Ha patteggiato la pena, ammettendo le sue colpe.
1 della MARGHERITA:

22) Enzo Carra (Margherita)
condannato dalla Cassazione a 1 anno e 4 mesi di reclusione per falsa testimonianza nel process sulla maxitangente Enimont. La sua foto in manette fu un po’ il simbolo di Mani Pulite.

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1 della lista SGARBI:

23) Vittorio Sgarbi
condannato dalla Cassazione a 6 mesi e 10 giorni di reclusione per truffa aggravata e continua ai danni dello Stato: docente assenteista, ha preso lo stipendio per 3 anni insegnando solo per 3 giorni.

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1 del PSI:

24) Gianni De Michelis (deputato PSI)
condannato dalla Cassazione a 2 anni di reclusione complessivi, sia per tangenti per le autostrade del Veneto e sia per tangente Enimont.
Entrambi i reati sono stati ammessi e le pene patteggiate, per un altro zombie della vecchia Repubblica.

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CONCLUSIONI


La gente è informata su questi fatti? Poco, molto poco. Troppo poco.

Per certi casi, direi: quasi zero.

E’ bene invece sapere chi è che siede in Parlamento e chi, con grossa ignoranza, abbiamo eletto o anche semplicemente appoggiato, magari solo come nostro alleato, a volte (magari) esaltandone pure le qualità.
In quale Paese del mondo (a parte l’Africa?) siedono in Parlamento 24 pregiudicati condannati dalla Cassazione, spesso anche per reati piuttosto gravi, di cui l’opinione pubblica non sa quasi nulla?
Quand’è che questi delinquenti (in certi casi addirittura veri e propri criminali) pagheranno o sconteranno la loro pena, se li rieleggiamo? Vogliamo lasciarli a casa, sì o no?

Questo breve elenco di nomi e di reati, accertati fino al terzo grado di giudizio (o ammessi per patteggiamento), pur escludendo l’altra settantina di parlamentari che hanno condanne in primo o secondo grado, ci hanno comunque confermato in particolare una cosa: bene o male centrodestra e centrosinistra “delinquono” in percentuali abbastanza simili e per reati più o meno della stessa gravità.
I soliti furbetti all’italiana, ladruncoli e arroganti, che ridono alle nostre spalle, eccetera eccetera

A tutto questo fa però eccezione (per numero e gravità di reati) Forza Italia: là siamo proprio nel campo dell’associazione a delinquere, siamo nel patto criminoso, in un autentico raduno (accogliente) di banditi impuniti, d’altronde emuli della fulgida carriera del loro irraggiungibile e prescrittissimo Vate.
Ne hanno fatta di strada, coi soliti metodi loschi, amorali e persino mafiosi, “quei bravi ragazzi”.

QUEI BRAVI RAGAZZI
di Forza Italia

Antonio Martino: ex piduista
Economista, deputato forzista eletto in Sicilia al proporzionale, già ministro degli Esteri nel Berlusconi I, ora “declassato” alla Difesa, straccia un altro tabù: mai, finora, un piduista aveva retto il ministero delle Forze Armate, nemmeno negli anni d’oro della loggia del Venerabile Licio Gelli.
Il nome di Antonio Martino compariva nelle liste P2 scoperte a Castiglion Fibocchi nel 1981: era fra coloro che avevano inoltrato a Gelli regolare domanda di iscrizione, ma non c’era stato il tempo di perfezionarla (erano ormai già arrivati i giudici).Martino ha sempre negato di aver presentato quella richiesta, ma nelle carte del Venerabile fu ritrovata la sua domanda, con tanto di firma e data: 6 luglio 1980; la Commissione Anselmi raccolse pure la testimonianza del “fratello” massone che l’aveva presentato alla pia confraternita dei ladroni e degli assassini: un certo Giuseppe Donato, strettissimo collaboratore di Gelli.

Fabrizio Cicchitto: ex piduista
Deputato di Forza Italia, eletto nel collegio di Corsico (Milano).
Il suo nome compare nelle liste della loggia massonica P2: fascicolo 945, numero di tessera 2232, data di iniziazione 12 dicembre 1980. All'epoca della scoperta degli elenchi, Cicchitto era deputato e membro della direzione del PSI. E’ uno dei pochi ad aver ammesso di aver sottoscritto la domanda di adesione.
Il presidente della Repubblica Sandro Pertini disse di lui: “Non venga al Quirinale, perché non sarà accolto, non tenda la mano, perché non gli sarà data”.

Giuseppe Pisanu: trascorsi rapporti con Roberto Calvi e Flavio Carboni
Deputato fin dal 1972, prima nella DC e poi in Forza Italia, già capogruppo forzista della Camera, ora Ministro degli Interni, è un altro che gli ambienti piduisti li ha conosciuti bene, tanto che (nella vita precedente), quando portava la borsa a Benito Zaccagnini (sinistra DC), fu travolto da uno scandalo per i suoi strettissimi rapporti con il banchiere bancarottiere e piduista Roberto Calvi (presidente del banco Ambrosiano), nonché con il Gran Maestro della massoneria Armando Corono e con il faccendiere Flavio Carboni, plurinquisito, pluriarrestato, legato a varie esponenti della banda della Magliana e della mafia.Sassarese, ex amico del cuore di Francesco Cossiga, Pisanu diventa sottosegretario al Tesoro e alla Difesa in vari governi. Nel 1983 saltano fuori le sue liasons dangereuses con alcuni compagni di vacanze in barca: Flavio Carboni, Roberto Calvi e Silvio Berlusconi.Riassumendo: nell’estate del 1980, Berlusconi e Flavio Carboni “brigano” per regalare a Porto Rotondo una bella colata di cemento (progetto “Olbia 2”). Flavio Carboni ospita Pisanu e Berlusconi sulla sua “Punto Rosso”, una tinozza di 22 metri. L’estate seguente, Beppe fa un’altra conquista: veleggia (sempre sulla barca di Carboni) al largo della Costa Smeralda, ma stavolta a bordo c’è pure il bancarottiere Calvi, fresco di condanna, in libertà provvisoria. Memorabile la testimonianza di Pisanu davanti al PM milanese che indaga sul crac Ambrosiano e lo interroga per 6 ore, l’11 settembre 1982 (mentre Carboni si trova in carcere da qualche giorno a Milano perché coinvolto nelle indagini sulla fuga e sulla morte di Calvi): “Carboni -spiega Pisanu- era un interlocutore valido per le forze politiche che si richiamano all’ispirazione cattolica”.Insomma, il pio terzetto non discuteva di affari, ma di teologia e mariologia. Bah….”Carboni”, prosegue Pisanu, riuscendo a restare serio, “mi disse che il Berlusconi aveva interesse a espandere Canale 5 in Sardegna, tanto che lo stesso Carboni si stava interessando per rilevare a tal fine la più importante rete TV sarda, Videolina. Non solo: il Carboni mi disse di essere in affari col signor Berlusconi anche per un grosso progetto edilizio di tipo turistico denominato Olbia 2. Fin dall’inizio ritenni di seguire gli sviluppi delle varie attività di Carboni, trattandosi di un sardo che intendeva operare in Sardegna.”.
Il pio sodalizio Carboni-Pisanu si estende poi miracolosamente all’affare-Ambrosiano. Pisanu, portato dall’amico Flavio, incontra Calvi per ben 4 volte, e subito dopo l’8 giugno 1982, risponde alla Camera alle allarmate interrogazioni delle opposizioni sul colossale buco dell’Ambrosiano. Niente paura -rassicura Pisanu- è tutto sotto controllo! Nessun allarme: le indagini esperite all’estero sull’Ambrosiano non hanno dato alcun esito.Il 10 giugno Calvi fugge dall’Italia per finire impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra! Nove giorni dopo, il Governo dichiara insolvente l’Ambrosiano, mettendo sul lastrico migliaia di risparmiatori. Pochi mesi dopo sia l’Ambrosiano (sia l’Andino) fanno bancarotta.Racconterà Angelo Rizzoli alla Commissione Parlamentare di inchiesta sulla P2: “Calvi mi disse che il discorso dell’on. Pisanu in Parlamento l’aveva fatto fare lui. Qualcuno mi ha detto che per quel discorso Pisanu aveva preso 800 milioni da Flavio Carboni”. Accusa mai dimostrata, anche se il portaborse di Calvi (Emilio Pellicani) dirà che Calvi aveva stanziato 100 miliardi per “comprare” il proprio salvataggio, dei quali “poche decine di milioni” sarebbero finite anche nelle tasche di Pisanu, tramite Carboni; e aggiunge che Pisanu si interessò attivamente del progetto di cessione del Corriere della Sera da parte di Calvi per garantire una sorta di controllo DC sul primo quotidiano d’Italia. Pisanu smentisce e querela Pellicani.
Memorabili gli attacchi che gli sferrano in quel periodo i due membri più battaglieri della Commissione P2: il missino Mirko Tremaglia e il radicale Massimo Teodori.
Tremaglia denuncia l’assalto partitocratico al Corriere della Sera tramite manovre che di volta in volta sono passate attraverso Andreotti, Bagnasco, Pisanu, Carboni o Rizzoli. E quanto all’Ambrosiano appena dichiarato insolvente, punta il dito sulle gravissime responsabilità degli organi di Governo, compreso il sottosegretario Pisanu, amico non per caso di Carboni, che aveva dichiarato alla Camera che nulla era emerso di irregolare nell’Ambrosiano.
Teodori, ora pure lui forzista, disse: “Alcuni fatti sono incontrovertibili: i rapporti strettissimi e continuativi tra Pisanu e Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi, tramite Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni per la sistemazione del Corriere della Sera; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni quando, sottosegretario al Tesoro, il ministero prendeva importanti decisioni sull’Ambrosiano. Il sottosegretario Pisanu deve dimettersi: se c’è ancora un minimo di moralità, è inconcepibile che l’on. Pisanu resti al governo”.

Due giorni dopo, il 21 gennaio si dimette da sottosegretario, per consentire il chiarimento della sua posizione senza condizionamenti legati all’incarico di governo ricoperto… ma il suo caso continuerà ad arroventare la commissione P2 nei mesi avvenire. Pisanu viene ascoltato una seconda volta dalla Commissione Anselmi, e lì ammette di “avere un po’ sottovalutato la delicatezza di certe frequentazioni”.Dopo un breve purgatorio, Pisanu risalta in sella nel 1987: sottosegretario alla Difesa del nuovo governo Fanfani. Poi un altro po’ di oblio, e la resurrezione “azzurra” grazie all’inseparabile Silvio, sempre riconoscente con i vecchi compari: nel 1994 lo promuove “vicecapogruppo vicario” alla Camera, nel 1996 capogruppo al posto del povero Vittorio Dotti, colpevole di essere amico dell’Ariosto, e quindi colpevole di avere sbagliato fidanzata, e sopratutto non era amico né di Calvi né di Carboni.Come Ministro degli Interni nel Berlusconi II, ha finalmente l’occasione di rivedere tanti vecchi amici.
Come il Ministro per gli Italiani all’Estero Mirko Tremaglia, e il neodeputato di FI, Massimo Teodori.
Come passa il tempo.

Claudio Scajola: 70 giorni in galera per tentata concussione nell’83
Ora Ministro delle Attività Produttive. È il primo Ministro degli Interni della storia d’Italia ad avere conosciuto le patrie galere, seppur 22 anni fa: non per le solite visite umanitarie, ma per esservi stato detenuto per 70 giorni.Nato a Imperia, ha la politica nel sangue, anzi, nell’albero genealogico. La sua famiglia (superdemocristiana) ha regalato a Imperia tre sindaci: il padre Ferdinando, il fratello Alessandro ed infine lui, nel 1982.L’anno seguente però è già in manette. Arrestato dai carabinieri il 12 dicembre 1983, per ordine dei giudici milanesi che indagano sullo scandalo dei casinò: una storiaccia di clan mafiosi siciliani che ha messo le mani sulle case da gioco di Sanremo e Campione d’Italia, accordandosi con i politici locali. Scajola è accusato di essersi incontrato in Svizzera con il sindaco di Sanremo ed il conte Giorgio Borletti -che aspirava al controllo del casinò sanremese- e di avergli chiesto alcune decine di milioni (una cinquantina, pare, dell’epoca) a titolo di “rimborso spese” per l’impegno profuso dai politici liguri.
L’accusa è di tentata concussione aggravata: 70 giorni a San Vittore. Ma alla fine, dopo una lunga e accidentata indagine, nel 1990 Scajola viene prosciolto. Non perché i fatti non siano realmente accaduti ma perché -spiega il fratello Alessandro- Claudio fece quel viaggio “su incarico del partito”.L’accusa, insomma, non sarebbe riuscita a dimostrare che avesse chiesto quel denaro per sé o per il collega sanremese. Dopo quella triste disavventura, Scajola si riprende prontamente, si fa rieleggere sindaco di Imperia dalla DC e nel 1995 si ricandida con una lista civica.Di Forza Italia, alleata con AN., non ha una grande opinione: sono solo dei fascistelli. L’anno seguente cambia idea e si candida coi “fascistelli”: carriera folgorante. Berlusconi lo promuove responsabile organizzativo e lui in pochi anni trasforma il partito di plastica in una macchina da guerra radicata nel territorio.
Nel 2001 arriva il premio: ministro degli Interni. Poi il buon Claudio è travolto prima dalle polemiche del dopo G8 e soprattutto dalla successiva (colossale) gaffe: dà del rompicoglioni al prof. Biagi (già assassinato dalle BR), nel tentativo di spiegare perché non gli aveva accordato la scorta personale, che il professore a più riprese aveva chiesto in seguito a gravissime minacce.

Enrico La Loggia: amico di N. Mandalà e in rapporti con P. Mandalari
Ministro (senza portafoglio) per gli Affari Regionali del governo Berlusconi.
Ex assessore DC a Palermo (giunta Orlando), poi senatore forzista, guai giudiziari non ne ha mai avuti, ma certe intercettazioni telefoniche “siciliane” che lo riguardano sono tutt’altro che rassicuranti.
Suo padre Giuseppe, agrigentino, capo di una dinastia di avvocati DC, due volte presidente della Regione Sicilia e diverse volte deputato, morto nel 1994, era il cognato dell’ex-ministro DC Attilio Ruffini, più volte citato nelle inchieste di Mafia. Ha una certa sfortuna nelle amicizie, come moltissimi forzisti siciliani.. Era (è?) amico di Nino Mandalà, imprenditore di Villa Abate, membro del coordinamento provinciale di FI, arrestato nel 1999 per associazione mafiosa, nell’inchiesta che riguarda pure il deputato forzista Gaspare Giudice (per il quale la Camera negò l’autorizzazione all’arresto). Mandalà a Villa Abate è una potenza, economica e politica; e, secondo gli inquirenti, gli capita spesso di chiacchierare a ruota libera con gli uomini più vicini al boss dei boss Bernardo Provenzano.
Esempio: il 4-5-98, Mandalà (intercettato telefonicamente) parla con Simone Castello, uno dei colonnelli di B. Provenzano. E gli racconta il suo ultimo burrascoso incontro con Enrico La Loggia. Dice di averlo insultato e minacciato perché quello, dopo l’arresto di suo figlio Nicola Mandalà (coinvolto nelle indagini su alcuni omicidi), aveva preso ad evitarlo, a fingere di non conoscerlo!! Lui invece si aspettava almeno un cenno di solidarietà in nome dell’antica amicizia, un rapporto che risale alla notte dei tempi, quando erano tutti e due piccoli. In effetti Mandalà e il padre di La Loggia erano stati “soci in affari” in una società di brokeraggio assicurativo (la Broker Sicula): con La Loggia Giuseppe presidente e Mandalà amministratore delegato. Senza contare che 3 anni prima (nel ‘95) La Loggia gli aveva chiesto di procurare al responsabile legislativo di FI, on. Renato Schifani (eletto a Corleone) una consulenza a 54 milioni l’anno nel comune di Villa Abate. I due si rivedono in un congresso di FI, 7-8 mesi dopo la liberazione del figlio di Mandalà: La Loggia sarebbe andato incontro a Mandalà, ma questi l’avrebbe zittito e cacciato in malo modo: “Senti, devi farmi una cortesia, pezzo di merda che sei, non ti devi permettere di rivolgermi la parola”. E La Loggia (sempre secondo la telefonata di Mandalà): “Ma Nino, è mai possibile che mi tratti così? I nostri rapporti…”. “Ma quali rapporti!!!”, sarebbe esploso Mandalà. A quel punto La Loggia, allarmatissimo avrebbe invitato Mandalà a proseguire l’incontro in privato, nel suo studio palermitano in via Duca della Verdura. Un incontro di un’ora, nel quale Mandalà minaccia di scoprire alcuni altarini del senatore e della sua famiglia: “Alla fine gli dissi: - Senti, tu a me non mi devi cercare più! Devi dimenticare che esisto… Siccome io sono mafioso, come tuo padre Giuseppe, perché io con lui me ne andavo a cercargli i voti da Turiddu Malta, il capomafia di Vallelunga… io posso sempre dire che tuo padre era mafioso-”.A quel punto La Loggia si è messo a piangere. “Mi rovini… mi rovini…”, piangeva, ma non perché era mortificato, ma per la paura. Il mafioso Castello, a quel racconto telefonico, sbotta: “Ma quant’è cretino”.E Mandalà: “Vedi quant’è cornuto, minchia? Ha pensato veramente che io lo andavo a rovinare… Io volevo solo spaventarlo, impaurirlo, per fargli male”. La Loggia nega quel vertice a quattr’occhi. con minacce e lacrime, ammette solo di avere incontrato Mandalà a un congresso di FI e di avere brevemente parlato con lui dell’arresto di suo figlio. In ogni caso i Carabinieri osservano (nelle loro intercettazioni) che Mandalà è una figura centrale in Forza Italia siciliana: parla al telefono con vari esponenti del partito di Berlusconi, con parole e toni che lasciano chiaramente intendere una sua “non giustificata (o forse sì?) autorità nei confronti degli stessi” (da verbale).
Altre telefonate imbarazzanti sono quelle di un quasi omonimo di Mandalà, il ragionier Pino Mandalari, gran maestro massone che (secondo gli inquirenti) era il commercialista di fiducia di Salvatore Riina, nonché presidente della Ri.Sa., la Riina Salvatore srl.Il 17-3-1994 il Mandalari telefona al numero privato di Enrico La Loggia, chiedendo di “Enrico”, però assente, pregando di essere richiamato. Due giorni dopo, al telefono, dà indicazioni di voto a un mafioso: “Tutti per Forza Italia nella terza scheda… Bisogna vedere il candidato nel collegio… La Loggia è il nostro… rapporti ottimi, ci siamo incontrati qua con La Loggia per una riunione…”.
La Loggia smentisce di avere mai conosciuto Mandalari e gli dà del millantatore e persona poco raccomandabile. Mandalari gli fa rispondere da un avvocato in maniera quanto mai sibillina: “Mandalari pretende scuse pubbliche dal senatore La Loggia, che dovrebbe ringraziarlo per avergli dato il suo voto e aver avuto fiducia in lui come politico: tutto questo senza conoscerlo…”

Gianfranco Miccichè: amico del boss S. D’Anna; contatti con G.Vasile
Ministro (senza portafoglio) per lo Sviluppo e la Coesione Territoriale del governo Berlusconi.
Figlio del banchiere Gerlando (vicedirettore generale del banco di Sicilia), già braccio destro di Dell’Utri in Publitalia, é anche il coordinatore di Forza Italia in Sicilia.Le intercettazioni si sprecano anche sul suo conto.Giuseppe Leone (capomafia di Carini) rivela in una telefonata che Miccichè avrebbe una vecchia amicizia con il presunto boss di Terrasini, Salvatore D’Anna. Leone lo racconta in automobile al suo braccio destro.
Inoltre: il 1 aprile 1993, in un villino vicino a Palermo, il vertice di Cosa Nostra (Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano) si riunisce per deliberare le stragi di Firenze, Milano e Roma. Il villino è di proprietà di Giuseppe Vasile, molto amico di Guglielmo Miccichè (fratello di Gianfranco). Questo Giuseppe Vasile è figlio di un vecchio capomafia di Brancaccio ed è già stato condannato per favoreggiamento nei confronti dei fratelli Graviano (i nuovi boss di Brancaccio, implicati nelle stragi Falcone-Borsellino).
Il 12 maggio 1993 (due giorni prima dell’attentato a Maurizio Costanzo in via Fauro), avviene un fatto strano: Giuseppe Vasile e il suo amico Agostino Imperatore (l’uomo che avrebbe presentato a Dell’Utri la moglie Miranda) entrano nell’agenzia n. 27 del Banco di Sicilia, diretta dall’amico Guglielmo Miccichè (fratello di Gianfranco) e gli chiedono di cambiare 25 milioni (in contanti) in assegni circolari. Gli assegni verranno poi utilizzati per tentare di affittare una villa in Versilia, in cui ospitare (sotto falso nome) tre latitanti che scottano: i fratelli Graviano e Messina Denaro. L’operazione immobiliare è gestita dall’imprenditore milanese Enrico Tosonotti, amico di Agostino Imperatore. Sia Tosonotti che Imperatore finiscono sotto inchiesta a Firenze per favoreggiamento ai Graviano nella strage del 1993.

Ma di Miccichè parlano anche molti altri. Lorenzo Rossano, un imprenditore in cattive acque, già fondatore di un club di Forza Italia, rivela: “Ricordo di aver capito il peso del personaggio Miccichè dalla deferenza con cui veniva trattato da persone del calibro di Franco Madonìa, Onofrio Greco, Bino Catania, personaggi di calibro mafioso. Circa il Miccichè, ricordo che Pino Mandatari, il massone commercialista di Riina, non lo considerava granché e diceva testualmente: -E’ stato voluto da personaggi importanti, ma non vale niente-. Quando dico personaggi importanti mi riferisco a personaggi di spessore mafioso”. Queste deposizioni, che risalgono al 1996, sono inserite nel processo Dell’Utri.
Ma di Miccichè parla anche… Miccichè medesimo: quando il PM di Palermo gli domanda se abbia mai incontrato personaggi poi risultati mafiosi, si ricorda di un vecchio pranzo con uno dei Madonìa, poi arrestato per associazione mafiosa nel 1996. Sfortunato nelle amicizie anche lui, come La Loggia, Dell’Utri e gli altri. Gaspare Giudice: al servizio dei boss mafiosi di Càccamo
Deputato di Forza Italia, 62 anni, nato a Canicattì (Agrigento), eletto in Sicilia.
Nel 1998, quando era vice-coordinatore per la Sicilia di Forza Italia, la procura di Palermo chiese il suo arresto per complicità con la mafia. Silvio Berlusconi commentò: "Essendo Giudice vice-coordinatore di Forza Italia in Sicilia e avendo avuto quindi rapporti con l’onorevole Gianfranco Miccichè, non si può neppure immaginare alcun alone di dubbio intorno a lui, perché altrimenti non avrebbe potuto avere quell’incarico".
Secondo l’accusa, Giudice era al diretto servizio della cosca mafiosa di Càccamo (boss Giuseppe Panzeca), i cui uomini si vantavano di averlo fatto eleggere e gli telefonavano fin dentro il palazzo di Montecitorio per ricordargli la sua dipendenza e per ordinargli che cosa doveva fare: "Gasparino, guarda che siamo stati noialtri a metterti lì", gli ripetevano. Gli elementi raccolti dall’accusa erano tali da far escludere (alla giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere) che ci fosse fumus persecutionis nei confronti del parlamentare. Perfino il "supergarantista" Filippo Mancuso non aveva avuto nulla da eccepire contro la richiesta dei magistrati. Eppure la Camera dei Deputati il 16 luglio 1998 bocciò la richiesta d’arresto. Non solo: i deputati sottrassero al giudice elementi di prova, impedendo l’utilizzo processuale dei tabulati Telecom, quelli da cui erano documentati i rapporti e la dipendenza di Giudice dagli uomini delle cosche.

Giuseppe Fallica (detto Pippo): condannato per false fatturazioni
Deputato di Forza Italia, nato a Palermo 53 anni fa, braccio destro e segretario di Miccichè, nonché cognato di Gaspare Giudice. Condannato a 15 mesi per fatture false. Un altro grande italiano per Forza Italia, premiato addirittura con l’inserimento tra i membri della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità mafiosa! Chissà che pensa di suo cognato Gaspare o del tanto prediletto ministro Miccichè…

Gianantonio Arnoldi: accusato di falso in bilancio e bancarotta
Deputato di Forza Italia. Ex assistente del ministro Prandini (DC), è stato accusato di aver falsificato le tessere del suo partito e di avere falsificato le firme di presentazione per le liste del PSI di De Michelis, travasandole da Forza Italia. È soprattutto accusato di falso in bilancio e bancarotta, nell’ambito di un’inchiesta milanese (in corso) sul crac Gipielle del 2000, che ha individuato una serie di società cessate, liquidate, svanite nel nulla o trasferire a prestanomi extracomunitari.

Romano Comincioli: accusato di bancarotta, false fatture e di contatti con G. Gambino
Senatore di Forza Italia, eletto nel collegio di Lodi. Compagno di scuola, nonché poi manager e prestanome di Berlusconi, era in contatto con Gaspare Gambino (imprenditore siciliano vicino al boss Pippo Calò), detto il cassiere romano di Cosa Nostra. Attraverso Comincioli, la Fininvest realizzò affari con il faccendiere sardo Flavio Carboni. Cambiali con girata di Comincioli passarono a uomini della banda della Magliana, per poi finire nelle mani di Pippo Calò. Per i suoi rapporti con Cosa Nostra e banda della Magliana è stato imputato a Roma (ma poi se l’è cavata, non si sa come, con l’assoluzione). Accusato di bancarotta fraudolenta, è stato latitante per alcune settimane. Poi imputato nel processo per le false fatture di Publitalia.


Antonio D’Alì junior: rapporti con boss mafiosi, tra cui i Messina Denaro!!
Sottosegretario del Ministero degli Interni, 54 anni. Eletto a Trapani.
La famiglia D’Alì è una delle più potenti, facoltose e riverite famiglie del Trapanese. Le immense tenute agricole, le saline tra Trapani e Marsala, le molte proprietà e (fino al 1991) la quota di controllo della Banca Sicula costituivano l’impero governato con autorità da Antonio D’Alì senior, classe 1919 (amministratore delegato “diretto” della banca di famiglia fino al 1983, anno in cui fu coinvolto nello scandalo P2 perché il suo nome era nelle liste di Gelli). Nel 1983 dunque Antonio D’Alì “senior” preferì passare la mano al nipote (figlio del fratello) Antonio D’Alì junior, che poi nel 1994 aderì a Forza Italia e fu premiato con un bel seggio al Senato.

La Banca Sicula, prima di rigenerarsi dietro le rispettabilissime insegne della Banca Commerciale (nel cui consiglio d’amministrazione è entrato poi anche Giacomo D’Alì, figlio di Antonio senior e cugino di Antonio junior), era stata oggetto di un allarmato rapporto di un commissario di polizia, Calogero Germanà (oggi nella superpolizia antimafia, a Roma), che poi a Mazara aveva subìto un attentato da parte di Leoluca Bagarella in persona. Il rapporto ipotizzava che l’istituto di credito fosse uno strumento di riciclaggio di Cosa nostra. E sottolineava il fatto che, come presidente del collegio dei sindaci della banca, fosse stato chiamato Giuseppe Provenzano (il futuro deputato di Forza Italia), già commercialista della famiglia Provenzano (l’altra, quella di Bernardo, attuale numero uno di Cosa Nostra). Il rapporto non ebbe però alcun seguito. Prima dell’incorporazione, la Banca Sicula aveva realizzato un aumento di capitale di 30 miliardi. Nichi Vendola, allora vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, nel 1998, in un rapporto inviato alla Vigilanza della Banca d'Italia, chiese: da dove erano arrivati quei soldi? Chi aveva finanziato la ricapitalizzazione? La risposta della famiglia D'Alì: tutto regolare, l’aumento di capitale della Banca Sicula è stato finanziato da Efibanca. Ci tocca fidarci? Bah…
La famiglia D’Alì ha avuto come “fattori” alcuni membri delle famiglie mafiose dei Messina Denaro. Francesco Messina Denaro (vecchio capomafia di Trapani), fu per una vita fattore dei D’Alì, prima di passare la mano (come boss e come “fattore”) al figlio Matteo Messina Denaro, 43 anni, che dopo essere stato uno degli alleati più fedeli di Totò Riina ai tempi dell’attacco stragista allo Stato è oggi considerato il boss emergente di Cosa Nostra, forse il nuovo capo della mafia siciliana, direttamente all’ombra del vecchio Bernardo Provenzano.

A riprova dei rapporti tra la famiglia D’Alì e il boss, l'allora vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia Nichi Vendola nel 1998 esibì i documenti che provano il pagamento a Matteo Messina Denaro, ufficialmente agricoltore, di 4 milioni ricevuti nel 1991 dall’Inps come indennità di disoccupazione. A pagargli i contributi era Pietro D’Alì, fratello di Antonio il senatore. Anche Salvatore Messina Denaro (fratello di Matteo), ha lavorato per i D’Alì: è stato funzionario della Banca Sicula e poi, nel 1991, è passato alla Commerciale. Peccato che nel 1998 sia stato arrestato per mafia. C’è un’altra vicenda in cui le strade dei D’Alì si incrociano con quelle dei boss di Cosa Nostra: Francesco Geraci, (gioielliere, gran fornitore di preziosi alla famiglia di Totò Riina e suo prestanome), ha raccontato: “Nel 1992 Matteo Messina Denaro mi ha chiesto di acquistare dai D’Alì un terreno per 300 milioni da regalare a Riina. Si tratta della tenuta di Contrada Zangara”. I firmatari del contratto sono appunto il gioielliere Francesco Geraci e il futuro senatore Antonio D’Alì. “Io sono intervenuto solo al momento della firma”, racconta Geraci. “Dopo la stipula, andai spesso alla Banca Sicula e mi feci restituire i 300 milioni”. Quel terreno, poi, nel 1997 è stato confiscato in quanto considerato parte dei beni di Riina.Gli impegni di senatore a Roma non lo distolgono dall’attività a Trapani: con F. Canino decide la politica della città. Nel maggio 1998 D’Alì e Canino candidano a sindaco di Trapani N. Laudicina. Pochi giorni dopo l’elezione, Canino viene arrestato (concorso nell’associazione mafiosa che avrebbe monopolizzato gli affari e spartito gli appalti del Comune di Trapani). Poi è il turno dello stesso sindaco Laudicina, arrestato per corruzione con altre sette persone. Perfino il vescovo di Trapani grida: “E’ arrivata l’ora di reagire. No allo strapotere, è ora di svegliarci!”. Niente paura: c’è il sottosegretario agli Interni, Antonio D'Alì, trapanese doc, un tempo oggetto di indagini di polizia, ma che adesso alla polizia dà ordini.

Aldo Branchèr: ex prete paolino, arrestato per tangente di £ 300 milioni nel ‘93
Deputato di Forza Italia, ora Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio.
Eletto in Veneto, è stato il regista dell’accordo tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, che ha portato la Casa delle Libertà alla vittoria elettorale del 2001.
Era prete paolino e manager pubblicitario di Famiglia cristiana a Milano, assieme a don E. Mammana, grazie a cui il giornale divenne uno dei settimanali italiani più venduti e più ricchi di pubblicità. Accanto a don Mammana c'era sempre lui, don Aldo, pretino giovane e spregiudicato, guardato con un po' d'apprensione dalle segretarie, per via dei suoi modi, non proprio da prete fedele al voto di castità. I soldi che faceva girare erano tanti e il ragazzo era svelto. Forse troppo. Tanto che don Zega, allora direttore di Famiglia cristiana, arrivò ai ferri corti con don Aldo. Sarà per questo, o per una donna che era entrata stabilmente nella sua vita, ma comunque Brancher lasciò i paolini, cambiò vita, abbandonò il sacerdozio. Ma non la pubblicità: divenne collaboratore di Fedele Confalonieri e manager di Publitalia (la concessionaria di pubblicità della Fininvest). "Don Aldo sta facendo carriera", dicevano di lui i suoi vecchi colleghi di Famiglia cristiana. La carriera sembrò interrompersi nel 1993, quando fu arrestato da Antonio Di Pietro per una tangente di 300 milioni al Ministro della Sanità Francesco De Lorenzo (per la pubblicità contro l'Aids, che il Ministero assegnò alle reti Fininvest). In cella non aprì bocca, non raccontò i segreti delle tangenti Fininvest. Condannato (in appello) a 2 anni e 8 mesi per falso in bilancio e violazione della legge sul finanziamento ai partiti. Per la sua fedeltà aziendale fu premiato: divenne responsabile di Forza Italia nel Nord e poi, nel 2001, candidato alla Camera in Veneto, eletto senza problemi e subito nominato da Berlusconi sottosegretario alle Riforme e alla Devoluzione. Ha convinto Bossi ad abbandonare i toni anti-Berlusconi per allearsi nel 2001 con Forza Italia.

Giuseppe Firrarello: accusato di mafia, tangenti, corruzione
Senatore di Forza Italia, catanese, 66 anni.

Ex democristiano (andreottiano), è stato accusato di tangenti per l'appalto dell'ospedale Garibaldi di Catania. Nel 1999 la procura chiese anche di poterlo arrestare, ma il Senato negò l'autorizzazione a procedere. Erano circolate trascrizioni di intercettazioni telefoniche che lo accusavano pesantemente, ma ora non ve n'è più traccia: le cassette sono sparite. In una videocassetta, invece, è ancora possibile vedere e sentire il mafioso Enrico Incognito urlare: "Firrarello, anche tu mi hai abbandonato!!". Nel 2001 è passato dall'Udeur a Forza Italia (accolto da Silvio a braccia aperte) ed è stato rieletto. Per lui è stato chiesto il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, turbativa d'asta e corruzione.

Carlo Vizzini: tangente di £ 300 milioni nel ‘93 (pena poi prescritta)
Senatore di Forza Italia. Eletto in Sicilia. Palermitano, ex segretario del PSDI, 5 volte deputato (la prima a soli 28 anni), 3 volte ministro, è stato responsabile tra l’altro del dicastero delle Poste e di quello della Marina.

Nel 1993 è rimasto coinvolto nello scandalo Enimont, con l’accusa di aver ricevuto un finanziamento illecito di £ 300 milioni. Condannato in primo grado, in appello strappa una prescrizione.

Nel giugno del 1999 Vizzini, amico di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell’Utri, è entrato nel Consiglio di presidenza di Forza Italia. Nel 2001 ha vinto il confronto elettorale nel collegio senatoriale di Palermo centro.

Denis Verdini: indagato per falso in bilancio e violenza sessuale
Deputato di Forza Italia. 54 enne, eletto nel proporzionale a Firenze, dove lo chiamano il Berlusconi della Toscana. E’ presidente della banca “Credito Cooperativo Fiorentino”, ma dopo un'ispezione della Banca d'Italia nel suo istituto, è stato indagato per falso in bilancio. E’ editore del Giornale della Toscana e possiede quote del Foglio di Giuliano Ferrara. Il pubblico ministero di Firenze ha chiesto per Verdini anche un rinvio a giudizio per violenza sessuale: sarebbe saltato addosso, nel suo ufficio, a una signora che andava a chiedergli di ottenere un prestito dalla sua banca.

Cesare Previti: condannato per corruzione di magistrati in ben 2 processi
Deputato di Forza Italia, 71 anni, eletto a Roma. E’ il più famoso dei corruttori.
Avvocato personale di Silvio Berlusconi, ha ereditato l’incarico professionale dal padre Umberto (commercialista missino di Reggio Calabria e romano d’adozione).

La carriera da avvocato di Cesare Previti si può dire inizi alla fine del 1970, quando diventa prima controparte e poi, due anni dopo, tutore dell'enorme patrimonio ereditato dalla giovanissima Annamaria Casati Stampa, che ammonta a circa 400 miliardi dell'epoca (fra beni mobili e immobili) e fra cui è compresa anche la tenuta di San Martino presso Arcore con annessa villa del '700.Il 30 agosto 1970 era scoppiato a Roma un grande scandalo di cronaca "rosa-nera": il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino aveva ucciso a fucilate la sua consorte Anna Fallarino (sua seconda moglie) e il suo amante, lo studente universitario e attivista del MSI Massimo Morenti. Infine si era tolto la vita.L'enorme patrimonio lasciato dal marchese se lo contendono (a colpi di carta bollata e udienze processuali) la famiglia Fallarino e la giovane figlia del marchese Annamaria, avuta con la prima moglie Letizia Izzo. I Fallarino affidano la loro azione legale proprio all'allora giovane avvocato 36enne Cesare Previti.Il processo però si va risolvendo a favore della giovane figlia del marchese, Annamaria, che però all'epoca è minorenne e necessita di un tutore che ne curi gli interessi fino al compimento del 21mo anno. Così, con l'abilità di un avvoltoio, Previti fiuta il grande affare della sua vita e passa dalla parte della sua controparte nel processo. Contatta in gran segreto la figlia del marchese (appena divenuta miliardaria) e le offre i suoi servigi. La ragazza accetta e, poco tempo dopo, nel ‘72, Previti finalmente corona il suo sogno: diventa il tutore unico della Casati Stampa.Inizia così, a partire proprio dal 1972, la lunga stagione delle grandi fortune politiche ed economiche per lui e per il suo grande amico Berlusconi. Nel 1973 Previti convince infatti la giovane Casati Stampa a mettere in vendita la tenuta di San Martino. Nel '74 viene trovato un acquirente, l'allora giovane imprenditore edile Silvio Berlusconi, che acquista la tenuta per un valore di appena 500 milioni di lire (e per giunta dilazionati nel tempo!!!), mentre il valore effettivo dell'immobile è di oltre 1 miliardo e 700 milioni dell'epoca (come risulta dalle stesse stime legate all'eredità). Alla fine del '74 Berlusconi si insedia ad Arcore, ma Previti "suggerisce" alla sua assistita di posticipare il rogito catastale, che verrà fatto nel 1980 e senza pagare una sola lira di tasse.La villa diventa la reggia e insieme il quartier generale berlusconiano, dove (fra gli altri) dal ‘74 alloggia anche lo stalliere mafioso Mangano, punto di collegamento fra Berlusconi, Marcello Dell'Utri e Cosa Nostra.

Questo è solo l'inizio di una lunga serie di manovre finanziarie, cessioni e grandi speculazioni immobiliari che nel volgere di pochi anni porteranno alla costruzione di quel grande impero economico-finanziario-televisivo di cui oggi il cavaliere tanto si vanta (“Mi sono fatto da solo”) .

Previti ammette spudoratamente di non pagare una lira di tasse: lo afferma davanti ai giudici di Milano, nel tentativo di giustificare i suoi illeciti introiti. Compra un veliero di quasi 30 metri, il "Barbarossa". Ristruttura una torre spagnola all'Argentario. Apre studi legali a Roma e New York. Compra a piazza Farnese a Roma un palazzo principesco con piscina sul tetto e viaggia in Jaguar con autista.

Davanti a Villa Wanda, residenza del "Maestro Venerabile" Licio Gelli della loggia P2, alle ore 13:40 del 23 maggio 1988, una pattuglia della Digos notò sul brogliaccio dei devoti visitatori un "avvocato Cesare Previdi, di Roma, senza documenti". Previdi, e non Previti. C'è però da dire che di "avvocati Previdi" non ne risulta neanche mezzo negli elenchi del Foro della capitale. Si tratta di lui, quasi sicuramente.

Nel 1994 Berlusconi gli chiese di "scendere in campo" con Forza Italia e lui accettò prima un posto al Senato e poi addirittura il Ministero della Difesa.
Cristina Matranga, ex parlamentare di Forza Italia, in una intervista a "La Stampa" del 29 settembre 1994 confessò: "Dotti è l'avvocato degli affari legali di Berlusconi, Previti di quelli illegali".

Nel 2003 Previti è stato condannato, in PRIMO grado, a 11 anni di reclusione nel processo "toghe sporche" Imi-Sir-lodo Mondadori, per aver corrotto i giudici di Roma affinché emettessero sentenze favorevoli a Silvio Berlusconi e alla Fininvest. Condannato anche in PRIMO e SECONDO grado a 5 anni di reclusione in un altro processo "toghe sporche", quello sulla compravendita della Sme.
In genere fa ricorso a mille pretesti legali e illegali, invoca norme e codicilli, chiede al suo protettore politico (e socio in affari) Berlusconi di approvare leggi ad hoc e sfrutta perfino il calendario della Camera per far saltare le udienze e sottrarsi al giudizio dei giudici di Milano. Alla fine però tre condanne, per fortuna, sono arrivate.
IL “VATE” SILVIO BERLUSCONI:
I SUOI CRIMINI, I SUOI PROCESSI E LA SUA IMPUNITA’

Indagini 1983: sospetti di droga e riciclaggio
• Berlusconi, dopo quella visita (nel 1979) del Capitano M. M. Berruti (che finì col diventare berlusconiano), fu indagato dalla GdF nel 1983, nell'ambito di un'inchiesta su DROGA e RICICLAGGIO: la Guardia di Finanza aveva posto sotto controllo i suoi telefoni e scritto nel suo rapporto: «Il noto Silvio Berlusconi finanzierebbe un intenso traffico di stupefacenti dalla Sicilia verso altre regioni italiane e verso la Francia. Il predetto sarebbe al centro di grosse speculazioni edilizie e opererebbe sulla Costa Smeralda avvalendosi di società di comodo...». L’indagine comunque nel 1991 fu archiviata.

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A) Procedimenti nei quali è stato giudicato colpevole, ma i reati commessi sono coperti da AMNISTIA

1) Dichiarazioni sulla P2
La Corte d'Appello di Venezia, nel 1990, dichiara Berlusconi colpevole di aver giurato il falso davanti al Tribunale di Verona a proposito della sua iscrizione alla P2 (avvenuta nel 1978) ed ha applicato l'amnistia, stabilita nel 1990. La Corte di Cassazione nel 1991 ha confermato la sentenza.
2) Falso in bilancio nell'acquisto di terreni
In Appello è stata applicata l'amnistia in uno dei quattro capi d'accusa, in merito all'acquisto dei terreni circostanti la sua Villa di Macherio

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B) Procedimenti nei quali ha goduto della PRESCRIZIONE per i reati oggetto d'accusa
1) Processo All Iberian 1 (tangente di 21 miliardi a Bettino Craxi)
- Nel 1998 la sentenza di primo grado lo condanna a 2 anni e 4 mesi per i 21 miliardi versati tramite il conto All Iberian a Bettino Craxi.
- La sentenza di Appello (secondo grado) conferma che il reato è stato commesso, ma si è estinto per prescrizione (è passato troppo tempo) dato che «per nessuno degli imputati emerge dagli atti l'evidenza dell'innocenza». - La sentenza definitiva (terzo grado, 22 novembre 2000, Corte di Cassazione) conferma la sentenza d'appello, e condanna Berlusconi al pagamento delle spese processuali.
Ecco un estratto della sentenza definitiva:
“Le operazioni societarie e finanziarie dal conto intestato alla All Iberian al conto di transito Northern Holding di Craxi, furono realizzate in Italia dai vertici del gruppo Fininvest spa, con il rilevante concorso di Berlusconi quale proprietario e presidente. Non emerge, negli atti processuali, l'estraneità dell'imputato”.

2) Processo All Iberian 2 (falso in bilancio)
Berlusconi è rinviato a giudizio per aver falsificato i bilanci Fininvest.
Il dibattimento, dopo molte lungaggini e schermaglie procedurali, è iniziato presso il Tribunale di Milano. Ma Berlusconi ha cambiato la legge sul falso in bilancio: il processo dunque è stato sospeso.
Intanto è pure scattata la prescrizione. Viva l’impunità.

3) Lodo Mondadori
Berlusconi era accusato (assieme a Cesare Previti, Attilio Pacifico, Giovanni Acampora e Vittorio Metta) di concorso in corruzione in atti giudiziari, per aver pagato e corrotto i giudici di Roma in modo da ottenere una decisione a suo favore nel Lodo Mondadori, che doveva decidere la proprietà della casa editrice, poi effettivamente passata a lui.
In primo grado il suo avvocato Cesare Previti è stato condannato a 11 anni di reclusione per corruzione in atti giudiziari; a Berlusconi è invece stato contestato il solo reato di CORRUZIONE SEMPLICE che, grazie alla concessione delle attenuanti generiche, si è estinto per prescrizione.
I giudici della Corte d'Appello hanno ritenuto che nei confronti di Silvio Berlusconi è ipotizzabile il solo reato di corruzione semplice (e non quello più grave di "corruzione in atti giudiziari"), perché tra il 1990 e 1992 (periodo dei fatti contestati) la legge non prevedeva pene per l'eventuale corruttore. La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza d'Appello.
Così Silvio, con un triplo salto mortale, è riuscito ad evitare la condanna, comminata però al suo avvocato!

3) Processo SME (Capo di accusa A)
Per il capo di accusa A del processo SME (corruzione), Silvio Berlusconi viene assolto per prescrizione. Ecco il dispositivo della sentenza (10 Dicembre 2004):
“Visto l'articolo 531 CPP dichiara non doversi procedere nei confronti di Berlusconi Silvio in ordine al reato di corruzione ascrittogli al capo A limitatamente al bonifico in data 06-07 marzo 1991 perché, qualificato il fatto per l'imputato come violazione degli articoli 319 e 321 C.P. e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo stesso si è estinto per intervenuta prescrizione”.

4) Processo per corruzione della Guardia di Finanza (tangente di £ 380 milioni)
Berlusconi è stato accusato di aver pagato tangenti a ufficiali della Guardia di Finanza, per ammorbidire i controlli fiscali su 4 sue società.
- In primo grado è stato condannato a 2 anni e 9 mesi per tutte e 4 le tangenti contestate, senza attenuanti generiche. - In Appello, la corte concede le attenuanti generiche: così scatta la PRESCRIZIONE per 3 tangenti. Per la quarta (Telepiù), l'assoluzione è concessa con formula dubitativa.
- La Cassazione, nell'ottobre 2001, pur facendo intendere di credere alla colpevolezza dell’imputato Berlusconi (e al fatto che le tangenti siano state pagate), si sente però in dovere di assolverlo con formula dubitativa, perché ritiene le prove (pur concrete) insufficienti a condannarlo (sarebbe comunque stata una condanna solo formale, data la sopraggiunta prescrizione).

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C) Procedimento concluso con una CONDANNA
Processo Sme-Ariosto (capo A, tangente 434.404 dollari al giudice R. Squillante)
Con la sentenza del 10 Dicembre 2004 i giudici di primo grado del Tribunale di Milano hanno riconosciuto che
«il reato di corruzione del giudice Squillante è stato commesso da Berlusconi»
Questa conclusione è maturata anche grazie alle rogatorie internazionali giunte dalla Svizzera. Esse furono oggetto di aspro confronto, in quanto Berlusconi (con enorme faccia tosta) ha sempre sostenuto che fossero documenti falsificati. Durante il processo, lo stesso governo Berlusconi (!!!) ha varato una legge che introduceva norme più restrittive per accertare l'autenticità e la provenienza delle rogatorie internazionali, suscitando la reazione delle opposizioni che giudicavano tale legge una inutile burocrazia. Ad ogni modo, tali documenti mostravano dei versamenti di 434.404 dollari da un conto della Fininvest ad uno di Previti, dal quale infine giunsero ad un conto di Squillante.
Nella sentenza i giudici, pur ritenendo colpevole Berlusconi del reato imputatogli, gli hanno concesso le attenuanti generiche, che (tra gli altri effetti) dimezzano i termini di prescrizione di quel reato da 15 a 7 anni e mezzo; l'effetto pratico è stato che il reato commesso si è estinto per prescrizione, situazione che è giuridicamente diversa dall'innocenza, anche se porta ad effetti pratici simili (non porta a limitazioni della libertà personale e lascia inalterata la fedina penale, ma condanna al pagamento delle spese processuali e non fornisce la riabilitazione morale).
Gli avvocati di Berlusconi hanno fatto ricorso in Appello per ottenere una assoluzione piena.
Il processo di Appello, indetto per il 18 luglio 2005, è stato rimandato sine die in attesa che gli atti processuali di primo grado vengano acquisiti dalla corte.
Per questo stesso reato, l’avvocato di Berlusconi, Cesare Previti, è stato condannato in primo e secondo grado a 5 anni di reclusione.

CONCLUSIONI:
Questo è il signore due volte Presidente del Consiglio italiano. Il mondo intero, ma soprattutto l’Europa, ci ride alle spalle. Se fossimo in un Paese normale, alle prossime elezioni, dopo essersi vaccinati abbondantemente in questi anni secondo le previsioni di Montanelli, gli italiani dovrebbero punire severamente un simile criminale, sino al punto da non dargli manco un voto che sia uno. Purtroppo non sarà così, Silvio perderà (se perderà) forse solo in volata, arraffando ancora un sacco di voti. Si giunge pertanto alla triste conclusione che gente simile l’Italia se la merita.

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